LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 9304/1996 depositato
 il 30 dicembre 1996, avverso accertamento n. 23529, Pubblicita',  95,
 contro  il  comune  di  Torino da O. Facco Pubblicita' - S.r.l., leg.
 rappres.   dott. O.  Facco  Marcello,  residente  a  Padova  in  str.
 Altichiero,  40,  difeso  da  Bertero  Roberto, residente a Torino in
 corso Galileo Ferraris, 135,  e  Godoli  Maria  Silvia,  residente  a
 Torino in corso Galileo Ferraris, 135;
                               F a t t o
   La  "O.  Facco Pubblicita'" S.r.l. difesa dagli avv.ti Maria Silvia
 Godoli e Roberto Bertero ricorreva con atto  spedito  il  6  dicembre
 1996 avverso avviso di accertamento n. 23529 notificato il 21 ottobre
 1996 per imposta pubblicita' 1995 del comune di Torino.
   Il ricorrente chiedeva la sospensione dell'atto impugnato, concessa
 provvisoriamente  dal  presidente della sezione con decreto 14 luglio
 1997. Sosteneva non essere dovuta la pubblicita'  per  il  periodo  1
 luglio  1995  e  31  dicembre  1995  in  quanto  l'insegna  "Nissan",
 posizionata in corso Giulio Cesare, era stata  smontata  in  data  13
 gennaio  1995,  e la relativa denuncia di cessazione presentata il 15
 gennaio 1995 nel rispetto dei termini di cui all'art. 8, punto 3 u.c.
 d.lgs. n.  507/1993.
   Il   comune  di  Torino  si  costituiva  in  termini  ribadendo  la
 legittimita' del proprio operato ed in particolare che da sopralluogo
 del nucleo di Polizia municipale tale insegna risultava sussistere in
 data 14 marzo 1995, chiedeva il rigetto del  ricorso  e  la  condanna
 alle spese di giudizio.
   Alla  pubblica udienza del 29 settembre 1997 le parti ribadivano ed
 illustravano quanto agli atti.
   La commissione confermava la sospensione stante la sussistenza  dei
 requisiti  di  legge  e con ordinanza istruttoria chiedeva alle parti
 idonea documentazione comprovante la cessazione o permanenza in  loco
 dell'insegna,   il  contratto  stipulato  con  il  condominio,  copia
 dell'ordine di servizio agli agenti, con rinvio al 17 novembre 1997.
   A tale udienza il comune ribadiva le proprie determinazioni, mentre
 il contribuente chiedeva un rinvio atteso che solo in giornata  aveva
 avuto  ulteriori  informazioni;  il  comune  non  si  opponeva  e  la
 commissione rinviava all'udienza del 9 febbraio 1998.
   A tale udienza la  "O.  Facco  Pubblicita'"  consegna  copia  della
 dichiarazione della I.G.S. locataria del terrazzo condominiale su cui
 era   posta   la   pannellatura   di  fondo  dell'insegna,  ulteriore
 documentazione e' richiesta al ricorrente con rinvio all'udienza  del
 4  maggio  1998.    Sono  tempestivamente depositate copie di fatture
 delle ditte occupatesi a vario titolo dello smontaggio  dell'insegna.
 Il  comune  nell'ulteriore memoria depositata ed in udienza ribadisce
 che il 14 marzo 1995 l'ufficiale di  Polizia  urbana  Badino  con  un
 collaboratore  accertarono  che  a  quella data sussisteva l'impianto
 pubblicitario de quo e  pertanto  il  correlativo  diritto  dell'ente
 locale  di  richiedere  il  pagamento  dell'imposta per l'intero anno
 1995, nella fattispecie 2 semestre 1995 oltre  sopratassa,  ai  sensi
 art. 23, d.lgs. n. 507/1993.
   Il  ricorrente  pur  consegnando  fatture e documenti non puo' dare
 prova testimoniale dello smontaggio del cartellone nel  gennaio  1995
 stante il divieto di cui al comma 4, art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992,
 n. 546.
   Attesto  che  la  questione  verte su una mera questione di fatto e
 cioe' sulla permanenza o meno dell'insegna ad una certa data, che  le
 fatture  ed  i  documenti  prodotti  non sono sufficienti a dare data
 certa,  stante  il  divieto  legislativo   di   ricorrere   a   prove
 testimoniali  per  dimostrare quanto assunto nel ricorso, che ai fini
 della decisione occorre consentire prove testimoniali come  richiesto
 dal  ricorrente,  e  pertanto  la norma sopra citata comma 4, art. 7,
 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e' applicabile al caso  de  quo,  si
 solleva  d'ufficio  la  questione  di legittimita' costituzionale per
 contrasto con l'art.  3, commi 1 e 2 e art. 24 della Costituzione del
 comma 4, art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
   Mentre in altri procedimenti giurisdizionali  (civile,  penale)  la
 parte  puo'  normalmente  ricorrere  a prove testimoniali, il divieto
 assoluto  della  norma  di  cui  sopra  risulta  irragionevole,   non
 sussistendo  alcuna  ragione  di fatto e/o di diritto che giustifichi
 tale diversita'  di  previsione  normativa  a  seconda  del  tipo  di
 contenzioso  instaurato, e comporta pertanto violazione del principio
 di uguaglianza.
   E'  ben vero che secondo codesta Corte  "Non  esiste  un  principio
 costituzionalmente  rilevante  di  necessaria  uniformita'  di regole
 processuali tra i diversi tipi del processo; rispettivamente  davanti
 alla   giurisdizione  amministrativa  o  davanti  alle  giurisdizioni
 speciali  sopravvissute, potendo i rispettivi ordinamenti processuali
 differenziarsi sulla base di una scelta  razionale  del  legislatore,
 derivante  dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni
 sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione  all'epoca  della
 disciplina  ed  alle  tradizioni storiche di ciascun procedimento ...
 "(Corte cost., 19 marzo 1996, n. 82). Ma nel  processo  tributario  -
 come  nel  caso  de  quo  -  le questioni di fatto o di conoscenza di
 elementi materiali possono essere  il  necessario  presupposto  della
 sussistenza o meno della pretesa tributaria della p.a.
   Il  suddetto  divieto  lede  sia il principio di uguaglianza che il
 diritto alla difesa poiche' il diritto del contribuente ad  esplicare
 appieno     la    propria    attivita'    difensiva    e'    limitato
 dall'impossibilita' giuridica di apportare elementi  probatori  quali
 testimonianze  su  questioni  di  fatto  che  possono  invece  essere
 rilevanti ai fini della controversia.
   Peraltro la norma di recente introduzione avrebbe  dovuto  recepire
 le istanze, costituzionalmente garantite, della difesa ad un processo
 equo  senza  limitazione  alcuna  dei  propri  diritti, compromessi e
 sminuiti  invece  dal  divieto  sunnominato  che  non   consente   al
 ricorrente di dare prova testimoniale di situazioni materiali.
   Mentre   il   legislatore   avrebbe   razionalmente   potuto  porre
 limitazioni o attribuire un diverso valore  alla  prova  testimoniale
 rispetto ad altre prove, il divieto assoluto nelle fattispecie in cui
 ai   fini   della   decisione  occorra  conoscere  e/o  accertare  la
 sussistenza  o  meno  di  fatti   e   elementi   materiali,   risulta
 irrazionale, illogico, incoerente e discriminatorio.
   Risultando  la  norma (comma 4, art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
 546) applicabile al ricorso in epigrafe, stante che la  questione  di
 legittimita'  non  e'  manifestamente  infondata in ordine al divieto
 indiscriminato ed assoluto di ammissibilita' delle prove testimoniali
 la Commissione.